
Le ricette tipiche della Lombardia
Il popolo lombardo, nonostante condizionato dai suoi ritmi frenetici di vita e di lavoro, conserva giustamente il suo attaccamento alle proprie tradizioni e alle proprie identità. Tradizioni che si ritrovano nella gastronomia lombarda ricca di piatti cucinati seguendo ricette antiche: il risotto alla milanese, la polenta uncia, la cassoeula sono piatti che esprimono fortemente le tradizioni della campagna lombarda. Ma i sapori di questa terra sono espressi anche dai salumi e dai prestigiosi formaggi provenienti non solo dalla pianura ma anche dal territorio alpino.
La Lombardia è sempre stata una regione generosa grazie proprio alle sue alte potenzialità produttive e alle numerose vie di comunicazione che nella storia hanno fatto sì che questa regione fosse il crocevia di numerose culture (Etruschi, Celti, Romani, Longobardi, Franchi, e poi più recentemente Spagnoli, Francesi e Austriaci). Ogni angolo della Lombardia ha saputo così appropriarsi di numerosi apporti esterni, integrandoli ed adattandoli alla propria cultura, alle proprie esigenze e utilizzando i prodotti locali come materia prima.
Un signore milanese presenta a Giulio Cesarea e ai suoi ufficiali un piatto che troveremo in tutti i menu del mondo: gli asparagi conditi con il burro, prodotto tipico di una parte d’Europa in cui si può dominare l’acqua per irrigare e si riesce a conservare il ghiaccio. Mentre il riso cresce accanto alla marcita, la “bergamina” emigra dalla pianura agli alpeggi e ne torna nei giorni dell’equinozio. Virgilio non ci precisa di quali prodotti si adornassero le rozze tavole del pastore Menalca, ma nella gerarchia mondiale dei latticini entrano per primeggiare il grana e il mascherpone, il gorgonzola e il taleggio, la robiola, lo stracchino e il bitto valtellinese.

Fedele nei secoli si potrebbe ripetere (assente l’ironia) per il lombardo uso cucinario. Ma attenzione: tanto il lombardo, il milanese in particolare, è attivo, inquieto, instabile sul lavoro, quanto calmo e pacioso, pronto a dare e ricevere, in cucina. Una gastronomia, la lombarda, bonaria, larga, capace di soddisfarlo e tuttavia di non appesantirlo, di lasciargli riprendere, se proprio vuole, se proprio non si sa sottrarre alla malattia del secolo, di lì a poco il lavoro, il traffico vertiginoso del danée.
Il risotto con lo zafferano, forse la più celebre, la più imitata all’estero delle ricette italiane (per quel suo colore vivo giallo oro, che ha suggestioni e cedimenti all’arancio, per i suoi grani divisi, al dente, ma legati nella manteca), è certo il piatto primo, più significativo. Ti accontenta senza gravare se non esageri; se esageri peggio, o meglio, per te. Sulla riga, pressappoco, se esageri prenditela con te stesso: la costoletta, l’ossobuco, il bollito, il minestrone e le minestre in Milano; la zuppa pavese; i casonsei a Bergamo, gli osei scapacc a Brescia, i marubini di Cremona, i tortelli cremaschi (in racchiuso involucro l’insidia dolce di un ripieno “maggiorato” da marsala e amaretti), la serie stessa delle polente e così via. Fa eccezione, forse, la sola cazzoeula, l’intruglio colorito di sapori, che accomuna, indigesti l’une e l’altro, verze e maiale. Qui basta l’assaggio, e subito capisci: esige lunghe digestioni, la parentesi calma del riposo. E’ piatto quindi invernale; da mangiarsi in una placida sera, al fuoco del camino, se appena ce la fai.
