
Ricette tipiche siciliane

Le ricette tipiche della Sicilia
“Santa Lucia, Santa Lucia, supra un munti chi sidia. Passau Gesù ccu Maria e cci rissi: – Lucia, Lucia, chi fai supra un munti? -. -Caru Maistru, caru Maistru, haju ‘na fitta all’occhiu, ch”un pozzu abbintari. – Si vai a lu me’ ortu, cc’è simenza di finocchiu: cu li me’ manu la chiantavi, cu li me’ piedi la pistavi, cu la me ‘vucca la binidissi: tagliati, purpu, e ‘un cumparissi“.
Mi ha recitato lo “scongiuro” vecchia donna di Salaparuta; con audace esegesi mi chiariva il perchè della finocchiella, dei finocchietti di montagna, nella pasta cui sardi. Non ne ero certo convinto; avrei potuto, con poco rispettto della sua ingenua fede, ricordarle historia che anche avevo raccolto: “Santa Lucia ‘n càmmira stasia, oru tagghiava e argentu cusia. Passan lu Signuri ccu Maria e cci rissi; – Chi fai, Lucia? – Cugghii ‘na rama ri finocchiu e mi ui ‘na muchiedda nna l’occhiu. – Susi, Lucia, ca nenti è!”.
L’orzaiolo era entrato, e non uscito, a causa del finocchio. Non era quella l’origine, e chissà quale, della presenza della finocchiella nella pasta con le sarde. Le ero grato tuttavia; aveva dato conferma, non meditata, a suggestione: i piatti sono qui, in misura più ampia e determinante che altrove, rituali; costante in queste terre il sovrapporsi in intrico, a volte indistricabile, di sacro e profano.

Retaggio forse del groviglio, o meglio dell’intreccio, di civiltà; davvero la Sicilia è stata al centro di quattromila anni di storia mediterranea, davvero non ti sorprendi, un po’ che tu le abbia battute, le terre assolate: colonne dei templi greci sostengono architravi di cattedrali; quadrati massi dell’impero romano medievali castelli; i campanili furono minareti; moschee le chiese; il barocco fiorisce sui cunicoli del quaternario in qualche caso ancora abitati.

Questo sapore, una bella esperienza, confessalo, l’hanno un po’ tutti i cibi di Sicilia, perchè in tutti ritrovi, forse sotto una scorza rude, come l’arancia, freschezza ed innocenza. Dai frutti e dalle verdure cibi esaltanti, in un arco vastissimo per ampiezza e differenza: dalla pasta con le sarde alle petronciane; dalle popolaresche arancine al caciu, ancora più rustico, all’argintera; dal cùscusu che ti sovviene la vicina Africa alla pazienta simula originaria; dai cannoli alla cassata.

Il sole, il mare e la terra sono gli ingredienti fondamentali di quei sapori tipici che solo la Sicilia sa dare.
“Gesù, gli arancini di Adelina ! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico”.“Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre.

Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia canticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla.
Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!”.
Da “Gli arancini di Montalbano” di Andrea Camilleri.